Home > Alghero > Chiese Alghero > La Cattedrale
Realizzazione dei testi Antonio Mura
La Cattedrale di Alghero è servita da un’ampia sacrestia e ad essa si accede da due ingressi. Il principale si trova nel transetto di sinistra ed è un portale realizzato in pietra arenaria di medie dimensioni, con annesso un portone in legno di colore scuro, sicuramente quello originale. La consistenza di tale portone ci fa capire quanto fosse e sia importante la custodia degli arredi sacri e dei paramenti liturgici (tovaglie e abiti usati durante la celebrazione della Messa o in altri momenti liturgici), per l’uso sacro a cui sono dedicati ma anche per il valore economico di questi oggetti, talvolta delle vere e proprie opere d’arte. Sia l’architrave che le lesene, nonché i capitelli in stile corinzio, sono lavorati e richiamano lo stile dei portali rinascimentali. A lato di tale ingresso, a sinistra per chi guarda, si trova una campanella. Anch’essa ha una funzione liturgica, e il suo suono indica che il sacerdote, insieme agli eventuali chierici, è uscito dalla sacrestia e si appresta ad iniziare la celebrazione della Messa.
Il secondo ingresso è molto più modesto, e probabilmente è stato realizzato dopo i restauri intervenuti a causa dei danni provocati alla Cattedrale dal bombardamento della città (1943). Con quest’opera, aperta su un muro portante della Chiesa e di cui si può apprezzare lo spessore, forse si è voluto accorciare il percorso per raggiungere la sacrestia passando dall’ingresso principale della Cattedrale, o rendere più funzionale l’uso dell’attiguo ufficio parrocchiale. Infatti questo ingresso si trova a destra del fonte battesimale, in quella che era la cappella dedicata a San Carlo Borromeo e distrutta dalle bombe, praticamente è speculare all’ufficio del Parroco, dove si conservano gli atti e i registri della Parrocchia e si svolge una parte dell’attività pastorale.
Attraverso l’ingresso principale della sacrestia ci ritroviamo in un vestibolo arredato da due dipinti del XVIII secolo. A destra l’opera esposta ci presenta cinque santi canonizzati da Papa Gregorio XV nel 1622. Si tratta di S.Teresa d’Avila, S.Ignazio di Loyola, S.Isidoro agricoltore, S.Francesco Saverio (tutti spagnoli) e S.Filippo Neri (italiano). Il quadro di sinistra invece raffigura i Quattro coronati, Sinforiano, Claudio, Nicostrato e Castorio, martirizzati durante la persecuzione dell’Imperatore Diocleziano contro i cristiani (304). A quest’opera si è ispirato l’autore del gruppo scultoreo in legno, carta pesta e gesso conservato nella chiesetta di S.Anna (adiacente alla Cattedrale), e realizzato per volontà del gremio algherese dei muratori e dei falegnami a metà del ‘900
Superato il vestibolo si entra nella sala principale della sacrestia, che si presenta ampia, luminosa e ricca nell’arredo. Le dimensioni sono notevoli, inclusa l’altezza della volta a lunette a vela. Su buona parte della superficie murale poggiano gli armadi e le panche una volta utilizzati da ogni singolo sacerdote per custodire le proprie cose, ad esempio libri di preghiere, vestiario, oggetti sacri posseduti a titolo personale ecc. Si tratta di un’opera artigianale in legno, che si sviluppa per almeno 50 metriquadri. Nella sua forma il mobile è abbastanza originale, anche perché offre un’ampia disponibilità di posti a sedere, occupando il minimo degli spazi necessari. Nel contempo le stesse panche sono utilizzate come contenitori.
Quasi a ricordarci che questa è la sacrestia della Chiesa Cattedrale, cioè della Chiesa dove celebra il Vescovo, una lunga serie di ritratti mostra ai visitatori i tanti Vescovi che si sono succeduti alla guida della Diocesi, prima di Alghero e poi di Alghero-Bosa. Alcuni di questi ritratti sono gli originali in olio su tela, realizzati a cavallo tra il ‘700 e l’ ‘800 e già sottoposti a restauro. Altri sono più recenti e di minor valore. Difficile poter dire se la serie sia completa, di certo però è unica nel suo genere e rappresenta la storia della Chiesa di Alghero e della presenza spagnola in città e in Sardegna. Tanti Vescovi, infatti, portano nomi tipicamente spagnoli, a dimostrazione del fatto che una lunga parte della storia ecclesiale di Alghero è da ricollegarsi alla corona spagnola, cosa peraltro molto evidente nei riti di tradizione catalana della Settimana Santa di Alghero.Un altro importante elemento artistico sono le incisioni del pittore parigino André Dutertre, risalenti ai primi dell’ ‘800. Esse raffigurano alcuni apostoli e Gesù stesso, e collocate accanto ai ritratti dei Vescovi ricordano che questi ultimi degli apostoli sono appunto i successori.
Al centro della sacrestia è collocata una colonna lampadario. Essa ci ricorda il tempo in cui non era disponibile l’energia elettrica, per cui in genere l’illuminazione degli ambienti era affidata a lumi ad olio o a candele. Il bel candelabro in alto alla colonna, seppur restaurato, è monco di alcune braccia (staccatesi e custodite dal Parroco), ma ben esprime la funzionalità dell’opera.
Nella parete di fronte all’ingresso troviamo un crocifisso che si fa risalire al ‘600. Per don Antonio Nughes, storico della Diocesi, potrebbe essere quello donato dal Vescovo Nicola Cannavera nel 1605 alla Cattedrale, per essere collocato sull’altare maggiore, e dove ci rimase sino al rifacimento dello stesso altare nella prima metà del ‘700. Si tratta di una bella opera lignea, molto espressiva, che sottolinea la sofferenza reale di Gesù in croce e mette in risalto il valore del suo sacrificio. Nella parete a lato si trova una nicchia dove è collocato il lavabo-sacrario. Si tratta di un oggetto che troviamo in tutte le sacrestie delle chiese storiche. Quello della sacrestia della Cattedrale è formato da un contenitore d’acqua in marmo bianco (che andava periodicamente riempito, e ricorda il tempo in cui non erano disponibili gli impianti idraulici moderni); da una alzatina sempre in marmo che porta la scritta in latino che recita “lavatevi voi che portate i vasi del Signore”; poi abbiamo il classico lavabo dove i sacerdoti, ancora oggi, possono lavare le mani e altri oggetti sacri.
I rubinetti attualmente in uso non paiono essere quelli originali. Dal punto di vista costruttivo, il lavabo-sacrario deve avere uno scarico che raggiunga direttamente le fondazioni della Chiesa, perché deve raccogliere i resti dell’acqua benedetta che non possono più essere utilizzati, come per esempio quella che si è sporcata nelle acquasantiere. Tra le varie norme, poi, c’è quella che dice che in caso di versamento di vino consacrato (il sangue di Cristo), bisogna lavare il luogo con acqua e, alla fine, versare nel sacrario l’acqua rimasta e quanto raccolto. Attraverso lo scarico quanto viene versato raggiunge le fondazioni della Chiesa, quasi a significare la solidità nella fede conferita dai sacramentali, come l’acqua benedetta.
Una porta di discrete dimensioni, posta esattamente di fronte all’entrata secondaria della sacrestia, introduce in un’ampia sala chiamata “aula capitolare”. Il nome deriva dalla funzione
principale a cui era dedicata, cioè le riunioni periodiche del Capitolo della Cattedrale. L’istituto del Capitolo è ancora previsto dal Codice di Diritto Canonico ma è fuor di dubbio che la sua
funzione in passato conferiva un prestigio differente.
Il Capitolo è un collegio formato da sacerdoti. A questi sacerdoti il Vescovo conferisce il titolo di canonici e hanno il principale compito di assolvere alle funzioni liturgiche più solenni che
si svolgono in Cattedrale. Una volta erano i canonici che, in particolari orari del giorno, si riunivano nel Coro (dietro l’altare maggiore) per le preghiere di rito, dando visibilità alla chiesa
orante. Sempre il vescovo tra i canonici nomina due figure che si distinguono dalle altre: l’arciprete, che presiede le riunioni del Capitolo, e il Penitenziere. Il Capitolo nel suo insieme
nomina il segretario, che ha il compito di redigere il verbale di tutte le riunioni. Nell’archivio diocesano sono conservati importantissimi registri del Capitolo, anche molto antichi, che
forniscono interessanti notizie di tipo religioso, storico e sociale.
Una serie ordinata di sedie di bella fattura fanno intuire le funzioni dell’aula; spicca una poltroncina dorata del XVIII secolo, probabilmente destinata all’arciprete o al Vescovo durante le
riunioni del Capitolo. Non raramente, infatti, era il Vescovo stesso a porre dei quesiti ai canonici per raccoglierne i pareri attraverso l’arciprete e decidere di conseguenza. Del Capitolo
infatti si diceva che era il “senato” del Vescovo.
Sulle pareti dell’aula capitolare sono fissati dei quadri del XVIII secolo, di scuola emiliana. Tale datazione, non avendo riferimenti certi, la si fa risalire agli abiti dei protagonisti, e no,
dei dipinti, tipici di quel periodo. Vengono riprodotte delle scene bibliche in ambiente anacronistico, quasi a voler attualizzare quegli episodi e renderli più vivi e presenti nell’immaginario
dei fedeli. Si tratta di quattro tele che raffigurano episodi del libro della Genesi: 1. Abramo incontra il Signore nelle querce di Mamre.
La scena biblica, rintracciabile nel cap. XVIII del libro della Genesi, ci parla di Abramo che incontra Dio, il quale assume le sembianze di tre uomini o di tre angeli. Con una certa audacia, i Padri della Chiesa hanno visto in questo episodio un’anticipazione biblica della Trinità. 2. Abramo invita i tre uomini (o angeli) a fermarsi da lui. Siamo sempre nel capitolo XVIII di Genesi. Abramo invita i tre uomini a ristorarsi. Secondo l’uso orientale fornisce l’acqua per lavarsi, li fa accomodare sotto l’ombra di un albero, li nutre con pane, carne di vitello, panna e latte. 3. L’incontro tra Esaù e Giacobbe.
Esaù e Giacobbe sono fratelli gemelli, figli di Isacco e di Rebecca. Con astuzia Giacobbe, incoraggiato dalla madre, toglie la primogenitura a Esaù e si fa benedire dal padre Isacco. Ciò produrrà la separazione dei due fratelli, ed Esaù ferito nell’orgoglio si proporrà di uccidere Giacobbe. Seguono varie vicende, almeno sino a quando nel cap. XXXII di Genesi non si racconta l’episodio raffigurato nel dipinto: i due fratelli si incontrano, si abbracciano, si baciano e piangono. La scena è commovente e segna una tappa fondamentale nel rapporto tra i due fratelli. 4. La benedizione di Giacobbe.
L’episodio in sè non è edificante perché Giacobbe carpisce la benedizione paterna con astuzia e con l’aiuto della madre, che lo preferiva ad Esaù. Questo episodio vuol significare che Dio non
segue le logiche umane per realizzare i suoi progetti e che può trarre vantaggi anche da situazioni di evidente scorrettezza. Quella di Isacco era una benedizione particolare che non poteva
essere ripetuta, e che conferiva autorità sulla famiglia ed era a garanzia della fertilità del suolo. L’episodio è rintracciabile nel cap. XXVII del libro della Genesi. 5. L’altare
dedicato a San Giovanni Nepomuceno
All’interno dell’aula capitolare, uno spazio è stato dedicato al patrono dei canonici, cioè a San Giovanni Nepomucemo (da Nepomuk, la sua città natale), egli stesso nominato canonico della
Cattedrale di Praga. Visse nel 1300 e il suo martirio è legato alla riservatezza del sacerdote confessore, che per nessun motivo può rivelare i contenuti a lui esposti nel momento della
confessione, anzi egli ne difese eroicamente il segreto.
I protagonisti sono il re Venceslao (sopranominato il “re fannullone”) e sua moglie Giovanna di Baviera, donna molto pia che aveva scelto San Giovanni Nepomuceno come suo direttore spirituale e
confessore privato. Il re Venceslao non era un buon marito e si attorniava di tante cortigiane. Come dice un proverbio ”Chi ha il difetto ha il sospetto”, e così Venceslao dubitava che anche la
moglie lo tradisse. Pensò che il suo confessore fosse al corrente di tutto e quindi tentò di corromperlo. Non riuscendoci decise di farlo uccidere, e chiese di buttarlo nel fiume Moldava, quello
che attraversa Praga.
L’altare che contiene la statua di San Giovanni Nepomuceno è in legno e lo stile è quello tipico del barocco.
Rispetto agli altari di marmo, quelli in legno erano considerati di minore valore e indice di una modesta disponibilità economica. Il “riccioluto” barocco sui marmi richiedeva una esecuzione
accurata e nel caso dell’intarsio una precisione professionale. Inoltre non bisogna dimenticare che i marmi bianchi dovevano essere acquistati fuori dall’isola e questo comportava anche un costo
di trasporto non indifferente. Il legno invece era facilmente disponibile, così come i maestri falegnami, per cui tale materiale era preferito e nella Cattedrale degnamente utilizzato in diverse
cappelle. Considerata l’epoca di diffusione del barocco, il suo arrivo tardivo in Sardegna, la presenza di uno stemma di Alghero del periodo spagnolo inciso sul paliotto, si può ipotizzare che
tale altare sia stato realizzato prima della caduta spagnola o immediatamente dopo, quando ancora non era forte l’influenza dei nuovi arrivati. 6. Foto stemma alghero
Siamo ancora dentro il 1700. La mensola dell’altare mostra una pietra sacra non completata. Su tale mensola poi poggia una reliquia di San Pio X e una mitria vescovile, il classico copricapo
utilizzato dai Vescovi a partire dal X secolo. Essa, assieme al pastorale posto lì accanto, ci ricorda che siamo nella Chiesa Cattedrale.